Varese, 9 maggio 2024 – L'attesa che l'ex moglie comparisse. Il coltello a serramanico a scatto, lungo 23 centimetri, di cui 10 di lama. Quella sorta di mascheramento con un cappello e una mascherina. I colpi inferti ripetutamente e in parti vitali. Quella frase agghiacciante, come una clausola finale: "Giustizia è fatta". In sei pagine il giudice delle indagini preliminari di Varese, Alessandro Chionna, motiva l'ordinanza che trattiene in carcere Marco Manfrinati per il tentato omicidio della moglie separata Lavinia Limido e l'omicidio del suocero Fabio Limido.
L'ex avvocato quarantenne voleva uccidere Lavinia. L'ha colpita più volte e sempre al volto e alla gola. Ha desistito quando le urla della vittima hanno richiamato altra gente e questo ha salvato la vita alla donna, gravemente ferita.
Non aveva premeditato ma ha attuato l'omicidio dell'ex suocero, Fabio Limido, accorso in difesa della figlia con una mazza da golf. Ne ha provocato la morte "sferrandogli plurime coltellate. In particolare, nel corso di una colluttazione, si poneva a cavalcioni sopra la persona offesa sferrandogli coltellate alla schiena e al collo, in particolare una coltellata penetrante al collo". Un omicidio volontario appesantito dalle aggravanti dei motivi abietti o futili, della crudeltà, dell'avere colito una persona offesa dal reato di stalking. Il tentato omicidio di Lavinia Limido è aggravato dalla premeditazione, dalla crudeltà, dai motivi abietti, dalla vicenda dello stalking. La procura di Varese chiedeva che a Manfrinati fosse contestato anche di avere violato il divieto di avvicinamento all'ex moglie e ai due ex suoceri, Fabio Limido e Marta Criscuolo, e il porto del coltello. L'arresto è avvenuto in quasi flagranza, l'imputato impugnava ancora ancora l'arma bianca e aveva le mani sporche di sangue.
I racconti dei testimoni
Agghiaccianti i racconti dei testimoni oculari del massacro di lunedì pomeriggio in via Ciro Menotti, nel quartiere varesino di Casbeno. Un testimone riferisce dell'uscita di Lavinia Limido, per la pausa pranzo, dalla ditta Ego Geo di cui è titolare il padre. Non riesce neppure ad aprire la portiera dell'auto perché da una vettura parcheggiata dietro la sua scende un uomo con il viso coperto da quella che pare una maschera scura. Non parla. E' la donna ad allarmarsi e a urlare: "Aiuto, aiutatemi".
All'improvviso cade, tenta di rialzarsi, ma l'uomo cerca di trattenerla a terra anche tirandola per i capelli, mentre Lavinia è a terra rannicchiata, in un gesto istintivo di protezione. L'aggressore inizia a colpire con un coltello, prima fra il collo e il petto e poi il volto. Tante coltellate, inferte velocemente. Sembrava, riferisce il testimone, che non volesse fermarsi.
Un altro spettatore del dramma descrive un uomo con una mascherina nera che gli ricorda quelle dei tempi del Covid e un cappellino con la visiera. Impugna un coltello e atterra Lavinia. In piedi ma chinato su di lei, inizia a colpire mentre la 37enne tenta di coprirsi con le mani e invoca soccorso.
Le colleghe della ditta Eco Geo chiamano il titolare: è Fabio Limido, 71 anni, il padre di Lavinia. L'uomo esce impugnando una mazza da golf e quando vede l'ex genero risalire in auto colpisce più volte la vettura sulla carrozzeria e sul lunotto posteriore, fino a quando non perde l'equilibrio e cade in un'aiuola a bordo della strada. La stessa testimone parla di diversi tentativi di Manfrinati di allontanarsi, facendo avanti e indietro, come per investire Limido e un altro uomo che cerca di ostacolarne la fuga. Urta contro altre macchine e contro il muro. La vettura si blocca. Inutili i tentativi di riavviarla. Limido è a terra. Un altro testimone descrive Manfrinati che sovrasta Limido, sdraiato, del tutto inerme, e nota chiaramente il coltello nella mano destra, abbondantemente insanguinato. L'imprenditore viene raggiunto alla schiena e al collo, è in particolare quest'ultimo a essere trafitto.
In quattro minuti accorre una pattuglia della polizia che trova Manfrinati con le mani insanguinate, dopo che ha appoggiato il coltello su un'auto parcheggiata. Gli agenti colgono una sua frase: "Giustizia è fatta. Ora sto bene".
La versione di Marco Manfrinati
Nell'udienza di convalida dell'arresto Marco Manfrinati offre la sua versione. Non intendeva assolutamente uccidere l'ex moglie. Portava in tasca il coltello, ma era per difendersi dai Limido che definisce "persone pericolose". Aveva preso casa a Gazzada, voleva solo parlare con la ex moglie. Voleva "farla ragionare". Scoppia in lacrime davanti al gip mentre racconta la sua sofferenza per la mancanza del figlio, l'amore per il bambino. Alla sua vista Lavinia fugge, cade. E' ancora a terra quando gli lancia una frase: "Io il bambino non te lo darò mai". E' come un cortocircuito nella mente dell'uomo che estrae dalla tasca il coltello e colpisce la donna due, tre volte. Si ferma, Si rende conto di quello che sta facendo. Sempre fra le lacrime racconta al giudice che avrebbe voluto scappare e andare in questura.
E' allora che compare Fabio Limido, con una mazza da golf, urlando "Ti ammazzo bastardo". Manfrinati ha già messo in moto, forse urta altre vetture. Limido colpisce l'auto con la mazza da golf. Quando l'ex genero scende, lo colpisce alla schiena. Si difende proteggendosi con le mani, che portano i segni dei colpi. Vorrebbe andare a piedi in questura. Il suocero è ancora lì, con la mazza. E' allora che l'ex avvocato ferisce con una coltellata al fianco Limido che cade in un cespuglio, cerca di rialzarsi e di riprendere la mazza da golf. Manfrinati lo colpisce al collo per due o tre volte. La sua,sostiene, è stata una difesa. Non ha cercato di urtare l'ex suocero con l'auto né di investire nessuno. "Io chiedevo solo di fare il padre e questo non sarebbe successo. Vorrei chiedere scusa a Lavinia".
Il giudice non gli ha creduto. Manfrinati ha colpito l'ex compagna in zone vitali, più volte, con un'arma idonea a uccidere. E' lecito supporre che abbia desistito quando è arrivata gente. Lo stesso vale per il ferimento mortale del padre. E' credibile che abbia agito a pochissimi giorni dal deposito della consulenza tecnica d'ufficio nella causa di separazione dalla moglie "con premeditazione a fini vendicativi".
Le immagini delle telecamere
Le telecamere collocate presso la ditta Eco Geo riprendono l'automobile di Manfrinati dalle 11.49. Attorno alle 12.30 vengono fissate le immagini dell'indagato che si aggira lungo via Menotti davanti alla ditta dove lavora l'ex moglie. Come in attesa. Alle 12.41 Lavinia esce e si dirige verso la sua auto. Nello stesso momento Manfrinati scende dalla propria. "Tali spostamenti - annota l'ordinanza - tra l'abitazione della donna e il luogo lavoro - insieme con l'essere armato di un coltello e con accessori per il travisamento (cappello e mascherina) lasciano logicamente presumere che Manfrinati abbia pianificato la sua azione e che non sia invece una condotta estemporanea".
Esiste il pericolo che l'uomo possa reiterare le sue condotte violente, anche con uso di armi, nei confronti di Lavinia o di persone del nucleo familiare o comunque legate alla donna da un rapporto di affetto. Oltre a questo, c'è il concreto pericolo di inquinamento delle prove, perché l'indagato potrebbe cercare di esercitare pressioni sui testimoni perché rendano dichiarazioni a lui favorevoli o comunque non dannose. Per questo, il gip, Marco Manfrinati deve rimanere in carcere.
Sono agli atti le riprese delle telecamere che hanno ripreso la scena, anche se non nel suo svolgimento complessivo, come il momento preciso in cui Limido perde la mazza da golf e rimane in balia del suo aggressore. Nella mattinata di domani la procura conferirà l'incarico per eseguire l'autopsia su Fabio Limido e l'esame medico-legale a Lavinia Limido.