È stato condannato all'ergastolo con 18 mesi di isolamento diurno Alessandro Maja, l'interior designer che a maggio dell'anno scorso ha ucciso la moglie Stefania Pivetta e la figlia 16enne Giulia nella villetta di famiglia a Samarate (Varese) riducendo in fin di vita il figlio Nicolò, unico sopravvissuto. La sentenza è stata emessa dalla Corte d'Assise di Busto Arsizio, presieduta dal giudice Giuseppe Fazio.
La richiesta del pm
Nella scorsa udienza la pm Martina Melita aveva chiesto l'ergastolo con 18 mesi di isolamento diurno, contestando l'aggravante della crudeltà e del legame parentale. In aula anche Nicolò Maja, assistito dall'avvocato Stefano Bettinelli, che ha indossato una t-shirt con le foto della mamma e della sorella. Il 23enne che sognava di diventare pilota d'aereo, parte civile assieme ai familiari, sta affrontando un lungo percorso di riabilitazione.
Il recupero di Nicolò
Per la prima volta si è presentato in aula senza sedia a rotelle, camminando a fatica ma in autonomia, accompagnato dal nonno materno Giulio e dallo zio Mirko. Ha assistito alla lettura della sentenza anche Alessandro Maja, detenuto nel carcere di Monza.
Il suo difensore, l'avvocato Gino Colombo, aveva chiesto di riconoscere il vizio parziale di mente, contestando i risultati della perizia che ha stabilito la capacità di intendere e di volere dell'uomo quando ha sterminato la famiglia.
Maja, nel corso del processo, aveva anche parlato in aula, rispondendo alle domande su un gesto rimasto ancora senza una chiara spiegazione: "Ho commesso un reato imperdonabile e chiedo perdono - sono alcune delle frasi - non so come scusarmi". Ha parlato di problemi sul lavoro, forse ingigantiti dalla sua mente, e di un rapporto difficile con la moglie che, a suo dire, spendeva troppi soldi.