
Lucia Uva da oltre sei anni chiede che venga fatta piena luce sulla morte del fratello Giuseppe
Varese, 15 novembre 2014 - Quella notte fu «normale» che tutti gli agenti in quel momento di pattuglia a Varese facessero da appoggio ai carabinieri che avevano fermato Giuseppe Uva e l’amico Alberto Biggiogero. E, comunque, la titolarità di qualsiasi scelta era in capo alla forza arrivata per prima sul posto dove i due uomini stavano spostando alcune transenne, ovvero l’Arma. A dirlo è stato il dirigente di Polizia Gianluca Dalfino, ieri nell’aula bunker del tribunale dove si sta svolgendo il processo a sei agenti e due carabinieri accusati, fra l’altro, di omicidio preterintenzionale riguardo la morte di Giuseppe Uva, il gruista 43enne deceduto il 14 giugno 2008, un sabato, all’ospedale di Varese dopo aver trascorso parte della nottata nella caserma dei carabinieri di via Saffi. Dalfino, oggi alla guida del commissariato di Gallarate, allora era il numero uno delle volanti a Varese. Quella notte non era in servizio. Seppe solo il lunedì mattina, una volta convocato in procura, della morte di Uva.
Ieri l’accusa (il procuratore capo Daniela Borgonovo) e le parte civili, a tutela dei familiari di Giuseppe, hanno inteso capire se fosse anomala la presenza di sei agenti - tutti i poliziotti in servizio quella notte - in supporto ad altri due uomini delle forze dell’ordine per «contenere» due persone moleste. «Secondo la mia esperienza e in base alle relazioni (da lui “vistate” sabato 14 mattina, ndr) - ha specificato Dalfino - il caso meritava questo numero di operanti. È capitato anche in altre occasioni che tutte le forze a disposizione fossero impegnate su un’unica situazione». A decidere quanti elementi impiegare, ha spiegato Dalfino, «è il capoturno». Titolari di ogni decisione operativa, ha sostenuto il funzionario davanti al presidente della Corte d’Assise Vito Piglionica, sono comunque le forze intervenute per prime, ovvero i carabinieri.
Prima della deposizione sono state affrontate alcune questioni preliminari. La Corte d’Assise ha rinviato la decisione «a esito del dibattimento» riguardo l’esperimento giudiziario proposto dagli avvocati delle divise per «replicare» lo stato dei luoghi in cui Uva e Biggiogero rimasero la sera del 13 giugno. Ok, invece, all’ammissione di documentazione medica richiesta sempre dalla difesa secondo la quale Alberto Biggiogero, che disse di aver sentito le urla dell’amico provenienti dalla stanza vicina a quella in cui si trovava, soffrirebbe di una patologia che lo porta a sentire suoni differenti rispetto a quelli da lui percepiti. E proprio l’amico di Uva sarà «protagonista» della prossima udienza. Il suo interrogatorio, infatti, è fissato per venerdì 28.