Saronno (Varese) - Migliaia di italiani che hanno perso una persona cara a causa del Covid hanno aggiunto al dolore del lutto quello del divieto, durissimo ma inevitabile, di vedere i defunti per l’ultima volta. Ma all’obitorio dell’ospedale di Saronno, nel Varesotto, era possibile aggirare l’imposizione. Bastava pagare.
Questa almeno è la tesi dei carabinieri e della Procura di Busto Arsizio, dopo due anni d’indagini con intercettazioni telefoniche e ambientali che hanno di fatto portato al blitz odierno. Il gip Tiziana Landoni ha firmato l’ordinanza nei confronti di 10 persone: un arresto, una persona ai domiciliari, due divieti di esercizio di professione medica, quattro divieti di esercitare l’attività di impresario funebre, due sospensioni di altrettanti addetti all’obitorio con divieto di concludere contratti di lavoro con la pubblica amministrazione. Le accuse vanno dalla corruzione di incaricato di pubblico servizio al peculato, dal furto alla truffa fino alla falsità ideologica commessa da pubblico ufficiale.
Tutto inizia a novembre 2020, piena pandemia, quando dalla direzione sanitaria parte la segnalazione ai carabinieri. L’ultimo di una serie di scandali che ha riguardato l’ospedale di Saronno: nel giugno 2020 si scoprì una farmacista che rivendeva materiale sanitario con l’aiuto di un imprenditore. Nel 2016 scoppiò invece il caso delle morti sospette del pronto soccorso, con l’arresto del medico Leonardo Cazzaniga e dell’infermiera Laura Taroni. Due anni fa, invece, l’inizio dell’inchiesta che prende spunto da una somma di denaro consegnata a un addetto all’obitorio da parte di un impresario funebre.
Le immagini registrate allora danno un’idea di cosa succedesse nel reparto nel seminterrato della struttura. Una persona con un camice accoglie un uomo che scende da un furgone di un’impresa funebre. I due si stringono la mano, si coprono mentre si scambiano qualcosa e quindi la bara viene tirata giù dal furgone verso l’obitorio. In procura arrivano le prove che incastrano quattro titolari di onoranze funebri che, senza accordi tra loro, versavano somme di denaro ai dipendenti per orientare i parenti dei defunti nella scelta della ditta cui affidare il funerale e le cure alle salme, anche la cosmesi, pure nei casi in cui era vietato. Fin qui il copione visto decine di volte, dal Nord al Sud.
A rendere particolarmente odiosa la vicenda, però, il fatto che i pagamenti siano serviti anche per ottenere per i congiunti il permesso di vedere le salme anche quando i defunti erano positivi al Covid, in violazione delle norme che quando il virus spopolava la Lombardia hanno reso ancora più pesante alle famiglie l’elaborazione del lutto. Cinquanta euro la tariffa "per aver rasato la barba a un corpo" oppure per aver vestito una donna o ancora per aver e mostrato alla figlia il corpo del padre "prima di chiudere la bara". Anche a costo di assumersi il rischio di diffondere ulteriormente il virus.
Nell’inchiesta, un piccolo ulteriore scandalo: due medici di famiglia che, lavorando all’interno dello stesso ambulatorio accreditato Asst, avrebbero rilasciato certificati di malattia compiacenti a dipendenti pubblici e privati. A far scoprire le irregolarità il caso di una dipendente dell’obitorio che, secondo quanto ricostruito dai carabinieri, durante i periodi di falsa malattia, lavorativa come impiegata proprio nell’ambulatorio dove operavano i due sanitari coinvolti. Documentati anche furti di materiale sanitario, rivenduto a terzi.