Varese, spaccio, tortura e omicidio: 25 arresti contro la violenta banda dei boschi

Quasi tutti marocchini, gli spacciatori sono attivi nelle province di Milano, Lodi, Pavia e Cremona, Novara e Piacenza: come funziona la brutale organizzazione

Controlli della polizia nei boschi della droga

Controlli della polizia nei boschi della droga

Abbandonato seminudo in una piazzola di sosta a bordo di una strada statale, con il volto tumefatto, il sangue raggrumato e sul corpo i segni delle violenze subito. È stato trovato così un ragazzo marocchino di 24 anni di membro di una banda di spacciatori, la stessa che lo avrebbe torturato e ucciso nei boschi di Varese poiché reo di averli traditi. 

Venticinque membri di quella violenta banda sono stati arrestati martedì mattina a seguito di una vasta operazione antidroga della polizia di Varese. Gli indagati, tutti di nazionalità marocchina tranne uno, sono accusati di rapina, detenzione di armi, tentata estorsione, traffico e spaccio di sostanze stupefacenti, nonché della tortura e l’uccisione del ventiquattrenne.

La banda spacciava nelle zone boschive della Lombardia e del Piemonte e gli arresti sono stati eseguiti nelle province di Milano, Lodi, Pavia e Cremona, Novara e Piacenza. Parte dei soggetti, irregolari e senza fissa dimora, è risultata irreperibile. Un arresto è stato eseguito, in Germania, dal Servizio per la cooperazione internazionale di polizia.

Delle 25 misure cautelari, 24 sono in carcere e una agli arresti domiciliari. Sono state emesse su disposizione dei giudici per le indagini preliminari di Busto Arsizio, Novara e Lodi, i quali hanno accolto le richieste delle rispettive Procure. Gli arresti sono stati eseguiti con la collaborazione delle Squadre Mobili di Milano, Novara, Genova, Cremona, Lodi, Piacenza, Pavia e con l'ausilio di equipaggi del Reparto Prevenzione Crimine di Milano.

Tortura e omicidio

Le indagini sono iniziate proprio dal ritrovamento del giovane marocchino di 24 a bordo strada della Statale 336, nel Comune di Lonate Pozzolo. Gli inquirenti hanno poi accertato che il giovane faceva parte di una banda comandata da due fratelli che vivevano nel milanese, "proprietari" di diverse piazze di spaccio situate in zone boschive delle province di Milano, Varese, Novara, Pavia e Lodi.

Secondo quanto ricostruito, il movente della tortura e dell’omicidio sarebbe stato il furto di droga e soldi per un valore di circa 30 mila euro che il ventiquattrenne ucciso aveva compiuto qualche settimana prima nei confronti del gruppo di presunti spacciatori. Con la droga rubata aveva cercato di aprire una “sua” piazza di spaccio in provincia di Varese, a Laveno Mombello.

Una volta scoperto, l’ex capo aveva attirato il giovane nel Milanese, dove poi sarebbe stato poi portato nel bosco in cui aveva rubato la droga: ad attenderlo c'erano altri componenti del gruppo, che si sarebbero scagliati contro il ragazzo accusato del furto, lo avrebbero percosso e seviziato con vari strumenti, sino al decesso, avvenuto dopo alcune ore di acute sofferenze, al termine di violenze crudeli e prolungate.

Il suo corpo sarebbe stato poi trasportato nottetempo dal bosco in cui era stato ucciso alla piazzola di sosta in cui è stato trovato la mattina successiva da alcuni passanti.

In seguito si è scoperto che poco dopo aver iniziato a torturarlo, una donna –presuntivamente la compagna del capo del gruppo – aveva chiamato ripetutamente il padre del giovane chiedendo i 30 mila euro rubati. L'uomo, che viveva in Spagna, aveva chiesto di liberare il figlio rendendosi disponibile a recuperare la cifra necessaria, ma aveva domandato un po’ di tempo: la morte del ragazzo è arrivata prima che riuscisse a recuperare il denaro.

La notte successiva al ritrovamento del cadavere il capo del gruppo è fuggito in Spagna con l’aiuto della sua compagna. A dirigere gli affari avrebbe lasciato in Italia il fratello e alcuni fidati uomini che avrebbero proseguito nel fiorente traffico di droga.

Come funziona lo spaccio

L'indagine ha mostrato l'organizzazione del traffico di stupefacenti effettuato ad opera della banda di marocchini. Dentro al bosco ci sono normalmente due persone, una – che parla bene italiano – addetta alla ricezione delle chiamate da parte dei clienti che fanno l'ordine annunciando il proprio arrivo, l'altra addetta alla consegna della droga al cliente.

Chi riceve le chiamate normalmente è il "capo posto", e gestisce la droga, preparando le dosi, e i soldi. Droga e soldi che, nei momenti di "riposo", lo stesso "capo posto" nasconde all'interno del bosco stesso, cercando di non farsi vedere dall'altra persona con cui lavora in quel punto, per non rischiare che questo possa appropriarsi di tali "risorse", fuggendo.

L'addetto alla consegna al cliente, invece, normalmente è un marocchino giovane da poco giunto in Italia. Quasi tutti sono irregolari sul territorio nazionale.

Gli investigatori hanno accertato che il gruppo indagato disponeva di appartamenti affittati da prestanome, e di vetture intestate a prestanome o noleggiate per pochi giorni (con documenti ottenuti da terzi, dietro pagamento di somme di denaro) attraverso società che forniscono il servizio a distanza tramite portale internet.

Armi e rappresaglie

La banda possedeva anche armi, sia bianche (ad esempio machete), sia da fuoco (fucili e pistole), anch'esse occultate nei boschi di spaccio, ostentate sui profili Facebook e utilizzate per rappresaglie e in caso di contrasti con gruppi rivali (ad esempio a seguito della sottrazione dei telefoni dello spaccio oppure per la conquista di un luogo di spaccio conteso).

Almeno due sono gli episodi: il primo è avvenuto a fine luglio 2022 in un locale della provincia di Milano dove a seguito di una rissa interna stati esplosi alcuni colpi di pisola; il secondo è avvenuto a metà settembre in provincia di Varese, quando appartenenti al gruppo indagato e concorrenti rivali si sono scontrati a colpi di arma da fuoco.

La maggior parte dei membri della banda indagati ha precedenti o pregiudizi di polizia in materia di stupefacenti. Il capo, in particolare, è stato denunciato in tre occasioni a partire dal 2020 per sequestro di persona e lesioni commesse ai danni di propri sodali nell'ambito dei contrasti legati allo spaccio di stupefacenti.