REDAZIONE VARESE

Strage di Samarate, chiesto l’ergastolo per Alessandro Maja. Il figlio: “A mio padre la pena che merita”

Nell’ultima udienza ha chiesto “perdono”. Il figlio sopravvissuto: “Nessun odio, ma ora è difficile”. La sentenza arriverà il 21 luglio

Alessando Maja

Alessando Maja

Samarate (Varese), 23 giugno 2023 – Ergastolo. E’ questa la richiesta di condanna da parte del pm Martina Melita per Alessandro Maja nell'ambito del processo per la strage di Samarate, al termine di una requisitoria durata meno di un’ora. La sentenza è prevista per il prossimo 21 luglio.

Nella notte tra il 3 e il 4 maggio del 2022 l'uomo aveva ucciso a martellate la moglie Stefania e la figlia Giulia, riducendo in fin di vita l'altro figlio Nicolò.  E proprio quest’ultimo, a margine dell’udienza odierna, ha detto: “Spero che abbia la pena che merita, ho pensato a mia madre e mia sorella”.

Alessandro Maja ha ucciso la moglie Stefania Pivetta e la figlia Giulia
Alessandro Maja ha ucciso la moglie Stefania Pivetta e la figlia Giulia

L’uomo, interior designer, considerato capace di intendere e volere dalla perizia chiesta dal tribunale, secondo l'accusa avrebbe agito con crudeltà inaudita verso i propri famigliari solo per paura di perdere il benessere economico: avrebbe infatti individuato proprio nella moglie e nei figli la causa di questo problema. La difesa ha chiesto invece l'esclusione dell'aggravante della crudeltà.

La richiesta di “perdono”

Nell’ultima udienza dello scorso maggio, nell’aula della Corte d’Assise di Busto Arsizio, Maja aveva chiesto “perdono”, al termine di un lungo interrogatorio, durante il quale si era soffermato sulle difficoltà nel rapporto con la moglie e sui problemi lavorativi che lo avevano reso “triste, preoccupato e ansioso”. Lo sguardo che a volte si era alzato per incrociare quello del figlio Nicolò, frasi con voce sommessa interrotte più volte da crisi di pianto. “Ho commesso un reato imperdonabile, non so come scusarmi”, aveva detto l’interior designer. Si era rivolto “alla mia Giulia"”e al figlio 24enne, sopravvissuto alla furia omicida: “Purtroppo non si torna indietro, non penso al suicidio”. Parole alle quali aveva replicato fuori dall’aula Nicolò, sulla sedia a rotelle, che si era presentato all’udienza del processo a carico del padre indossando una t-shirt con la foto delle vittime: “Non riesco a provare odio però il perdono in questo momento è difficile. Sono emotivamente stanco. Non ho ancora una risposta esaustiva sul perché” della strage. Una domanda che il giovane continua a rivolgere al padre.