Casasco d'Intelvi, 4 agosto 2013 - Casa, chiesa e contrabbando. In provincia di Como per cent’anni l’economia è andata avanti così. C’era il lago bello ma avaro e le montagne dove si moriva di fame, l’Eden era dall’altra parte del confine, in Svizzera, sfruttando la differenza dei prezzi indotta dalle diverse accise. Non c’è paese o vallata qui che non abbia le sue storie di frodo, addirittura a Casasco d’Intelvi sono arrivati a dedicare un percorso etnografico al contrabbando, recuperando l’antico sentiero degli spalloni che dal centro del paese arriva fino ad Aragno, in Canton Ticino, salendo da Erbonne lungo le pendici del Monte Generoso.
All'inaugurazione c’era il sindaco, Ettore Puricelli, con tanto di fascia tricolore, perché qui andar di frodo era una cosa seria. «Il contrabbando ha salvato l’economia di queste vallate – sorride – dalla fine della Seconda Guerra mondiale all’inizio degli anni ’70 qui si moriva letteralmente di fame e la gente si arrangiava come poteva. Le donne in casa e nei campi e gli uomini a fare gli spalloni, di notte, con le bricolle da trenta chili sulle spalle». C’era poco da scegliere o eri “sfrusaduù” o “burlanda” come dicono da queste parti, contrabbandiere o guardia, ma siccome le seconde le mandava lo Stato che non si fidava della gente di qui, la scelta era obbligata. «Gli scambi lungo la frontiera ci sono sempre stati – spiega Alfredo Zecchini, curatore del museo etnografico del paese – poi a fine ’800 il Regno d’Italia per limitare il fenomeno decise di chiudere il confine erigendo delle reti metalliche, con dei campanelli posti sulla sommità».
Accadde come con il Proibizionismo negli Stati Uniti, si cominciò a commerciare sottobanco di tutto. Durante la Grande Guerra farina, riso e uova uscivano dall’Italia per essere scambiate con sigarette, cioccolato e orologi. Durante la Seconda Guerra Mondiale si cominciarono a trasportare anche valuta, oro e uomini, che riparavano dalle persecuzioni nella Svizzera liberale. Poi di tutto, per un fenomeno che da queste parti non si è mai fermato, anche se oggi alla bricolla, lo zaino del contrabbandiere, si preferiscono mezzi ben più sofisticati: auto con doppiofondo, pieno di oro o preziosi; serbatoi camuffati per il gasolio.
A rimetterci è stato il romanticismo di figure e storie divenute epiche. Come il “sigaro del Ceresio”, un sommergibile a pedali con cui fino agli anni 50 si faceva passare la merce di contrabbando da una sponda all’altra del lago di Lugano, o il mitico “Ment”, al secolo Clemente Malacrida da Pellio Intelvi, che nel 1936 finì sulla copertina della Domenica del Corriere, in un’illustrazione di Beltrame, perché tentò di passare la frontiera a capo di un plotone di cento spalloni.
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